Maestra di spiritualità

Madre Maddalena voleva che le sue figlie fossero ben preparate e formate per un’azione apostolica più fruttuosa. A questo scopo, quando visitava le varie case dell’Istituto, ne approfittava per tenere delle conferenze o delle meditazioni che servissero alle sue figlie per meglio comprendere e scoprire il carisma comune. Molti di questi discorsi vennero conservati come tesori preziosi per riflettere e approfondire la propria vocazione e la missione a cui le giovani erano chiamate. Alcuni brani sulla vita comune sono molto interessanti e validi anche a distanza di decenni e mostrano la ricchezza interiore della Fondatrice: «La vita comune è il perno, il baluardo, la sostanza, la quintessenza, l’anima delle famiglie religiose, nelle quali l’ordine, che è l’armonia delle cose, si conserva mediante la pratica della vita comune. Essa ha avuto origine in cielo dalla Ss. ma Trinità, Dio uno e trino; poi si è effettuata perfettamente nella Sacra Famiglia, tipo e modello delle famiglie cristiane; indi è stata organizzata, in modo mirabile, da Gesù stesso, quando elesse i suoi dodici Apostoli per bandire la dolce novella, il soave Vangelo d’amore: e, attraverso i secoli, si perpetua nelle comunità religiose, che prendono questo nome per indicare appunto la comunanza di scopo e di vita dei membri che la compongono».

Si tratta, senza dubbio, di un inno alla vita comune, plasmata sul modello della Santissima Trinità, comunione d’amore tra le Persone divine e riprodotta mirabilmente nella Sacra Famiglia e nella primitiva comunità degli Apostoli. Allo stesso modo, le Compassioniste dovevano imitare l’armonia e le virtù di queste famiglie fraterne per raggiungere gli obiettivi della vita religiosa.

«E la Chiesa cattolica — prosegue la Madre Starace — non sarebbe più tale se i fedeli non fossero uniti in Gesù nostro Capo in modo da formare quel flusso e riflusso mirabile di gioia, di preghiera, di merito, di vita divina tra la terra e il cielo, fra la terra e il Purgatorio, fra le anime da un angolo all’altro del mondo e che chiamasi il dogma della Comunione dei Santi. Il cardine, le fondamenta di una comunità religiosa, tolte le quali non ha ragione di esistere, è appunto la vita comune, che consiste essenzialmente nella fusione dei beni spirituali e materiali. La vita comune è scala che mena al cielo, per le religiose che la osservano; ed è catena che trasporta all’inferno per quelle che non la curano e la calpestano. La vita comune è davvero un’ingegnosa invenzione dell’amore di Gesù, è un dono di Dio. Dono più eccellente, dopo quello della Divina Eucaristia, e come dono esso include la corrispondenza da parte beneficato. Oh certo, allo slancio d’amore con cui Iddio ci fa questo dono deve rispondere il nostro slancio di amore col quale gli offriamo la totale donazione di noi stesse perciò da tal momento noi siamo, viviamo e ci muoviamo in Dio, essendo in Lui una stessa cosa e trovandoci così strettamente a Lui unite come raggi immedesimati alla luce». Si faccia attenzione allo spessore dell’espressione «slancio d’amore», perché ivi sta la molla di tutto il rapporto con Gesù: amore come slancio, cioè come impulso del cuore e dell’anima; e impulso forte, decisivo, con ardore e passione per aver capito che l’amore è l’unica giustificazione accettabile per l’unico modo che l’anima deve cercare di stare vicino a Gesù. Senza amore nulla ha significato.

La vita comune è per la Starace una piccola chiesa domestica, dove i suoi membri condividono tutti i beni spirituali e materiali. E uno strumento di salvezza per quanti ne fanno parte anche se non vanno dimenticate le responsabilità soggettive. La Madre considerava la vita comune come un’invenzione dell’amore di Gesù e un dono di Dio, anzi, lo poneva subito dopo il dono dell’Eucaristia. Nelle comunità religiose vedeva riprodotti quei legami spirituali che legano tra di loro i membri del Corpo mistico di Cristo. Scorgeva l’importanza dei vincoli di carità e di meriti che venivano condivisi tra le suore, comprese anche quelle che già facevano parte della Chiesa celeste. L’amore di Dio è il collante che tiene unite tra di loro anime diverse per ceto, razza, opinione, età, ma che hanno il comune obiettivo di raggiungere l’ideale della famiglia di Nazareth.

Ancora a questo proposito, la Starace scriveva a suor Pacifica De Angelis: «Dico la verità: la grande grazia ottenuta di poter passare varie ore del giorno in preghiera, e poter precedere tutte negli atti comuni mi rende felice e diminuisce il peso del lavoro e dell’ufficio assegnatomi da Dio, e la comunità vive in continua festa ed in perfetta vita comune. Come è bello quel refettorio presieduto da me, senza eccezione di sorta. Sono scomparsi gli incomodi. In verità la perfetta vita comune è un vero Paradiso. Anche al coro Iddio mi accorda la grazia di andare innanzi. Ringraziate assai assai il Signore per me e per le grazie che un giorno più dell’altro accorda all’Istituto, per stabilire lo spirito e quanto in esso vuole». La perfetta vita è anche la via perfetta del paradiso nella comunità spirituale di tante anime protese ad amare Gesù e a trovare solo in lui felicità e pace. E l’Istituto su questa verità si doveva fondare.

Quanto scritto è la conferma dell’alta stima che la Fondatrice aveva per l’Istituto e di tutto il bene a cui era chiamato a fare da parte di Dio. Tutto il ritmo della vita comunitaria era un inno di ringraziamento a Dio per aver ben ordinato le ore, in modo da rendergli sempre lode e gloria. In ogni azione, in ogni attimo dell’esistenza, la Madre era sicura che tutto era donato e rivolto a Dio. Niente avveniva per caso e, anzi, i momenti più bui erano quelli più ricchi di benedizioni spirituali. Ogni momento della vita comune era per lei fonte di gioia, a cominciare dalle preghiere in coro, dal lavoro, dalla meditazione, dal refettorio, dalla ricreazione. In ogni luogo o momento scorgeva la presenza di Cristo e vedeva come era bello lo stare insieme delle sue figlie, come un’unica famiglia riunita dall’amore reciproco. In una conferenza, Madre Maddalena confermò la fondamentale importanza che ha la preghiera nella vita religiosa: «Oh, la preghiera! Per esse deve essere come l’atmosfera in cui respirano, come il profumo, che deve sprigionarsi dalle loro azioni, mediante la purità d’intenzione, il retto desiderio di dare gloria a Dio, cercando sempre di compiere il volere divino coll’unire le loro azioni a quelle di Gesù nella sua vita mortale e nel soggiorno eucaristico». E un invito a unire le proprie azioni a quelle di Gesù, in modo da formare un’anima sola e un cuore solo con Lui, nella totalità della preghiera. La preghiera deve essere il respiro, l’anima, l’atto di filiale abbandono a Dio e la scala che permette di salire al cielo. La Madre non si limitò a indicare l’importanza del tempo riservato alla preghiera, ma cercò di far comprendere che anche in ogni momento, in qualunque situazione una religiosa si trovasse, la sua vita doveva essere una preghiera continua: «La classe dove s’insegna, la sala dove si lavora, il luogo dove siamo chiamate dall’ubbidienza a compiere ciascuna di noi il nostro obbligo particolare, ha da cambiarsi in un cenacolo, onde camminare alla luce della presenza di Dio. Così le nostre azioni, prive in se stesse di qualsiasi valore, divengono feconde di virtù, ricche di meriti e preziose davanti a Dio, sebbene oscure e talvolta anche disprezzate dagli uomini». Si tratta di un accorato invito a imitare la vita nascosta di Gesù nella famiglia di Nazareth. A sacrificarsi nel segreto, a compiere diligentemente il proprio dovere offrendolo a Dio in dono per il bene della Chiesa e dell’umanità. Anche i lavori più umili e quotidiani, come fare la cucina, le pulizie, fare la spesa, se compiuti in unione con Gesù, diventano ai suoi occhi strumento di salvezza per i fratelli.

Madre Maddalena considerava la preghiera come un colloquio intimo con Colui che ci ama infinitamente, ma anche un mezzo insostituibile per attingere dal Cuore di Cristo i tesori delle sue grazie, come affermava in una conferenza: «L’anima che non fa ricorso a Dio con la preghiera cade molto spesso e resta sola a combattere, mentre chi prega, ha Dio con sé e chi ha Dio, di qual cosa ha da temere? La nostra natura umana ci porta a fare sempre e in tutto la propria volontà, che è inclinata al male; ma lo spirito, aiutato dalla grazia, deve risolutamente dire alle passioni e al demonio: No! Perché un solo sì detto al nemico, ne conduce seco molti altri, fino ad arrenderci nelle sue mani». La lotta occulta col demonio la conosceva bene la Madre… –

La Starace prese come esempio santa Teresa d’Avila, la quale fu veramente maestra d’orazione e, grazie alla sua profonda vita interiore, raggiunse le più alte vette della santità. Per questo la Fondatrice invitò a considerare che «la preghiera non può essere davvero fervente, se non deriva dall’orazione. Bisogna considerare, conoscere Dio nell’orazione, afferma 5. Teresa, onde poterlo amare; e Davide: L’orazione accende in noi il fuoco dell’amore divino». Senza di essa è impensabile costruire qualsiasi edificio spirituale o condurre una vita di grazia. L’accorata invocazione del discepolo di Gesù deve essere quindi questa: «Doce nos orare», Signore insegnaci a pregare!

La preghiera è quindi anche mezzo di perfezione per liberare l’anima dai lacci del peccato, per implorare da Dio l’aiuto necessario e per affrancarsi dai difetti che soffocano la vita di grazia. Ma la Madre era ben consapevole che l’attitudine alla preghiera non si improvvisa, ed esige un impegno quotidiano per mettersi alla scuola del Maestro: «Andiamo dunque all’orazione, per apprendere ad amare Iddio come lo ama Gesù, sacrificandoci come Lui per il trionfo del suo nome, per la conquista delle anime, per tesoreggiare per il cielo coll’acquisto di tutte le virtù cristiane. Il demonio conosce bene l’importanza della santa orazione e perciò mette in atto tutte le sue arti maligne, per riuscire a distrarci».

La Fondatrice non si limitava a formare le sue figlie con la parola, ma lo fece con la vita, divenendo un’autentica testimone delle beatitudini evangeliche e modello di virtù, in particolare per quanto riguarda la carità sia verso Dio, sia verso il prossimo. I suoi contemporanei vedevano in lei un’anima mossa solo dalla gloria di Dio e offerta a Lui in olocausto. Molte volte al giorno si fermava a pregare davanti al Santissimo Sacramento per la sua santificazione e quella delle sue figlie, non dimenticando di chiedere a Gesù la conversione dei peccatori. Aborriva il peccato e cercava di evitare alle suore qualsiasi occasione che le potesse mettere in pericolo. A questo proposito, era solita dire: «Innalzo a Dio fervide preghiere, affinché le mie figlie, formate alla scuola della carità verso Dio e nell’attenzione continua su se stesse, istruite dalla Madonna, possono dare aiuto positivo alla Chiesa». E la scuola doveva essere giustamente quella della Madonna, scuola d’amore e di carità.

Madre Maddalena era un’anima consumata dall’amore divino, tanto che ogni occasione era buona per invitare anche gli altri ad amarlo e a seguirlo. Suor Berardina Caso racconta che una mattina di Pasqua era a letto malata, quando venne monsignor Sarnelli a portarle la Comunione. Madre Maddalena teneva un cero acceso per accompagnare il Santissimo Sacramento e chiese anche lei di potersi comunicare. Appena il Vescovo se ne andò, la Madre cadde a terra, il volto si trasfigurò e cominciò a esclamare: «Gesù mio, ti amo, io muoio di amore! Ti amo, ti amo assai: benedetti patimenti, cari patimenti! Sì, voglio patire tutto quello che tu vuoi; ti amo, ti amo! Sì, voglio morire per possederti in eterno! Io muoio, io muoio di amore!». Detto questo, rimase come morta. Venne chiamato monsignor Sarnelli, il quale ordinò a due suore di condurla via.