SABATO 27 GENNAIO 2018
Davide Fernando Panella
Da tempo è nota la storia di Sr. Maria Goglia, la suora vitulanese, che con le consorelle dell’Istituto Suore Compassioniste in via Torlonia a Roma, accolse sessanta signore ebree con le loro figlie e venti familiari di ufficiali italiani al tempo dell’occupazione nazista (1943/44). La sua vicenda fu presentata dal sottoscritto su Avvenire, il 14 marzo 1998, nell’ambito dell’inchiesta “Schindler cattolici”. Quell’articolo ha fatto da riferimento a successive pubblicazioni su giornali e libri. Diverse volte ho presentato l’opera di questa Suora, nell’ambito scolastico, soprattutto nella ricorrenza della Giornata della Memoria. Ho fatto ricerca per molto tempo presso le consorelle, i familiari e conoscenti nella speranza di poter trovare testimonianze di ebrei salvati che potessero condurre al suo giusto e pieno riconoscimento.
Il desiderio, non soltanto mio, ma di tanti
era (ed è) quello di vederla tra “I Giusti tra le Nazioni”. Mancavano le testimonianze di ebrei, indispensabili per un tale riconoscimento. C’era bisogno di qualcosa di imprevisto, quasi miracoloso, per poter sperare. E così è avvenuto.
Il 3 gennaio 2015, lessi sull’Osservatore Romano un articolo “Sempre sul filo del rasoio” di Giovanni Preziosi. Mai avrei pensato di trovare in quell’ articolo che parlava dell’opera del francescano P. Marie Benoit a favore degli Ebrei, un preciso riferimento a Sr. Maria Goglia. Vi era scritto: “Per procurarsi i necessari documenti il frate francescano si avvalse dell’aiuto anche di alcuni ebrei, come Lea Bassan, che – in segno di riconoscenza per aver ricevuto anche lei una di queste carte d’identità intestata a una certa Leda Baretti, profuga barese- volle ricambiare il favore. L’occasione si presentò un giorno quando si offrì di recapitare le carte bianche da falsificare presso il convento delle suore Compassioniste di via Torlonia.
Così, per due o tre volte, la giovane ebrea, a bordo di un tram, senza dare troppo nell’occhio, fece la spola tra le due case religiose per consegnare alla madre vicaria, suor Maria Goglia, che si occupava di stamparle con nomi fittizi: dopodiché ritornava a riprenderli per riportarli al convento francescano di via Sicilia, dove si trovava la base operativa di questa rete di assistenza”.
Era un sottile filo di speranza, ma arrivò un secondo e più preciso imprevisto. Il 20 febbraio 2016, un uomo, passando accanto alla Casa delle Suore Compassioniste di via Torlonia in Roma, sentì il bisogno di salutare le religiose, perché in quell’Istituto era stata salvata sua madre. In tal modo, Ugo Di Nola, figlio di Lea Bassan, in quell’incontro riconoscente rivelò quanto aveva appreso (e aveva scritto in un memoriale) sua madre. E questa è la testimonianza scritta in quel memoriale dalla signora Lea Bassan, relativa a Sr. Maria Goglia: “Così con pochissime cose dentro quella valigia, uscii di là, richiusi e andai in una via adiacente dove c’era un altro convento dove stavano nascoste due mie altre cugine. Suonai il campanello, appoggiai la valigia e caddi svenuta perché logicamente l’emozione era stata troppo forte. E mia mamma, povera donna, che si era tanto preoccupata per me, dopo che mi aveva vista andare via con quell’uomo dal convento, era scesa anche lei con i mezzi, era venuta, ci aveva seguito ed era stata lì da lontano a vedere quello che succedeva. E perciò mi aveva seguito anche nel secondo convento. Qui, quando mi ripresi, cominciai a pensare: dove andiamo? Non possiamo tornare al convento Maria Ausiliatrice, perché se il portiere parla e i tedeschi capiscono che sono io quella che cercano, tornano senz’altro al convento Maria Ausiliatrice a cercarmi. Quindi lì non posso più tornare. Ma dove andiamo? C’era il coprifuoco, eravamo a marzo, tutti erano sorvegliati, il periodo era difficile. E mi venne un’ispirazione. Mi ricordai del convento di Piazza Bologna dove avevo portato su e giù le carte false da riempire. E andai con mia madre lì.
Chiesi a suor Maria, che era la madre superiora, di accoglierci, la pregai: Ci metta per terra, ci metta dove vuole, ma purché ci dia un tetto sopra la testa. E la buona suora, anche se il convento era pieno, ci accontentò. Ci mise prima in camerata e poi, col tempo ci diede una stanza dove potemmo stare. E così finì quest’emozionante episodio di quel periodo. Rimasi lì gli ultimi due, tre mesi, in attesa, speranzosa e angosciata della liberazione”. La seconda testimonianza, se si può dire, è ancora più straordinaria Tutto è successo nella seconda metà dell’anno appena passato. Il 18 giugno 2017, una signora di New York, Elfi Hendell con la figlia Deborah e il nipotino Efraim, è venuta a Roma per visitare l’Istituto delle Suore Compassioniste di via Torlonia, perché lì era stata salvata, durante l’occupazione nazista. E la signora Elfi, da me contattata, ha rilasciato la seguente testimonianza. “Io avevo solo 9 anni, ma ero molto consapevole che i tedeschi e i fascisti erano persone da cui nascondersi. Mia madre Susan, io e Maria, la mia sorella più piccola, restammo nascoste nel convento, grazie alla gentilezza e la comprensione della Superiora, Madre Maria Goglia.
Oltre a noi, nascose circa 60 famiglie con bambini, durante la seconda guerra mondiale. Io Elfi Hendel (ma durante la guerra avevo il nome di Elena Galliani), penso che la madre Superiora, che aveva intuito i pericoli di quella guerra per le famiglie ebree e dei politici, fu un vero strumento di salvezza per le nostre vite. Siamo rimaste nel convento a Roma, finché la città fu liberata dai nazisti e dai fascisti nel 1944, un anno prima della fine della seconda guerra mondiale. I miei ricordi della Madre Superiore Maria sono quelli di una bambina di 9 anni: era una suora energica e gentile che si preoccupava affinché gli ebrei, che erano lì, fossero il più possibile a loro agio. In qualsiasi momento l’incontravi, lei ti regalava un sorriso e chiedeva se tutto andasse bene.
Aveva sempre un sorriso per la mia sorella più piccola Marion, ed era di conforto per mia madre che voleva partire per assistere mio padre. Grazie alla Madre Superiora frequentai alcune classi delle scuole elementari, imparando a leggere e scrivere, come pure il cattolicesimo. Ricordo che la Madre Superiora e le suore non ci forzavano a pregare; cosa che noi facevamo quando nel convento c’erano dei visitatori, perché dovevamo far credere che eravamo bambini cattolici. Ricordo ancora che durante la Pasqua ebraica, Madre Maria cercava di metterci a nostro agio, non facendo servire il pane che noi non mangiavamo per rispetto delle nostre tradizioni. Io veramente credo che noi e tutti gli altri, che eravamo nascosti nel convento delle Suore Compassioniste, siamo stati salvati grazie all’intelligenza e la disponibilità della Madre Superiora. Confido che questo aumenti l’interesse sulla nostra permanenza nel convento, e il ruolo molto importante che ebbe la Madre Superiora nel nasconderci e nel salvarci durante l’occupazione nazifascista di Roma”.
Roma, 1954, suor Maria Goglia riceve la Croce al valore militare, perché «noncurante dei gravi rischi, si prodigava
instancabilmente a favore del fronte della resistenza»